Ming
Sale drogué·e
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SULLA DIPENDENZA DALLE DROGHE, CONTRO I MORALISTI E I SUOI FALSI CRITICI
Dopo la morte di alcuni ragazzi che avevano fatto uso di sostanze stupefacenti e la chiusura del Cocoricò (famosa discoteca di Riccione funzionale a “sballo e perdizione” frequentata da giovani italiani e turisti) il dibattito sulle droghe è tornato in voga, anche se in realtà nelle nostre collettività non si è mai concluso e non ha smesso di essere un problema di attualità, che tuttavia solitamente tendiamo a non affrontare per evitare di scomodare qualcuno o rompere gli equilibri ipocriti su cui tante volte si reggono le nostre comunità terribili.
Quando si affronta la questione droga, soprattutto tra i compagni, i problemi e i muri che si ergono davanti alla questione e impediscono una discussione e una riflessione attorno ad essa sono l'impostazione morale, puritana e perbenista da una parte e dall'altra l'approccio individualista di chi nega e nasconde il problema.
Non è interessante guardare quanto ognuno di noi faccia o non faccia uso di droghe, ma piuttosto quanto il nostro umore e il nostro stare bene dipendano dall’assunzione o no di sostanze che crediamo ci aiutino a sopportare il peso del presente. Quando ci si tira in mezzo non più per cospirare, per agire, ma per fuggire. In mancanza di una discussione sincera e diretta le comunità diventano luoghi di ipocrisia in cui in nome di una facciata rivoluzionaria si cerca di nascondere un problema che invece dovrebbe essere affrontato, così a volte si finisce per drogarsi di nascosto fuori dagli sguardi dei “compagni inquisitori” e allo stesso tempo si pretende che nei nostri posti nessuno faccia uso delle così dette droghe non leggere.
Non bisogna cadere nel proibizionismo becero e nemmeno nell’ipocrisia libertaria, nella retorica degli spazi individuali. Affrontata la questione nella sua complessità, potremmo immaginare quello che vogliamo trasmettere con le nostre azioni, i contenuti e la forza collettiva che vogliamo far desiderare a chi ci frequenta o a chi non abbiamo ancora avuto la fortuna di conoscere. In questo modo la questione dell’uso di sostanze nei nostri posti può essere posta in termini diversi: ciò che vogliamo condividere con le persone che conosciamo è la vita, la lotta, la gioia, la tristezza e il suo superamento e dentro questa prospettiva ci sono anche le serate alcoliche, le feste in cui a volte si fa uso di sostanze. Ma non è per questo che lottiamo e quando diventa un problema bisogna avere il coraggio di affrontare e di capire i limiti che i nostri corpi e le nostre menti hanno in rapporto all’uso di queste sostanze, siano queste alcooliche, droghe leggere o pesanti.
Quello che ci preme non è tanto parlare del proibizionismo o della libertà individuale, vorremmo analizzare dall’interno, partendo da “noi”, come viene affrontata nella maggior parte dei casi in modo superficiale e morale la questione della droga soprattutto quando questa diventa dipendenza.
Abbiamo letto un articolo che sta girando sui social network, pubblicato dal sito Senza Tregua il 6/02/2013 intitolato: “DROGA E DIPENDENZA: LIBERTÀ INDIVIDUALE O QUESTIONE SOCIALE?”; per quanto l’analisi sia lucida e condivisibile questo testo impone paletti etici che ogni “rivoluzionario” dovrebbe rispettare per essere tale e da cui prendiamo spunto non per criticare l’articolo in sé, ma per porre una riflessione più ampia e contribuire al tavolo della discussione.
OLTRE LA SUPERFICIALITA’, CONTRO LE COMUNITA’ TERRIBILI.
Che la dipendenza dalle droghe non sia una questione rivoluzionaria lo abbiamo capito tutti, così come di certo non è rivoluzionario andare al Cocoricò, bere Coca Cola, andare al concerto della Banda Bassotti o fare un’estate a Frassanito a fare i fricchettoni.
“Il mondo non si cambia dentro di sé, chiudendosi nella ricerca di qualcosa che non esiste, il mondo si cambia con la lotta, con l’azione collettiva che si misura con la realtà concreta, tutto il contrario di quello che droga e alcol forniscono”.
Chi l’ha detto che il mondo non si cambia dentro di noi? Il processo che porta ogni soggettività ad avvicinarsi alla lotta porta con sé uno scontro a 360 gradi con l’esistente: con i genitori che vedono come fallimento la nostra scelta di combattere e lottare contro il capitalismo piuttosto che adattarsi e aggiungersi al gregge, con gli insegnanti, con i padroni, con gli amici che della lotta non ne vogliono sapere, con la fidanzata che ti chiede di scegliere tra lei e i compagni, con l’autorità, di qualsiasi tipo essa sia. Ma nulla è paragonabile alla lotta che si svolge dentro di noi, contro le vecchie aspirazioni, contro le insicurezze, contro le false rassicurazioni, contro le nostre paure e i nostri incubi, contro i nostri fallimenti, nella domanda sulla giustezza delle nostre scelte. E da questa guerra interiore si può uscire più forti di prima o semplicemente non se ne esce.
Abbandoniamo i discorsi circolari, smettiamo di raccontarcela tra di noi e di mostrare i muscoli della “coerenza”, senza affrontare la complessità dell’essere umano. Andiamo incontro a ciò che si cerca di nascondere sempre, ma che in fondo è la causa di ogni nostro fallimento e della riproduzione all’infinito delle nostre caricature: la debolezza del comunismo nelle nostre comunità e nei nostri collettivi politici. Comunismo inteso come forma di vita, come potenza collettiva, come ricchezza di affetti e relazioni.
La questione è capire perché si desidera di più la droga piuttosto che la rivoluzione, cosa spinge i compagni e le compagne a fuggire dalla crudeltà e dalla pesantezza di questo mondo invece che trovare nella lotta gli anticorpi per combatterlo. Ci siamo mai chiesti i motivi per cui i nostri compagni si drogano, quale ferita porti loro a queste scorciatoie di felicità immediata?
GOVERNO DEI CORPI, CRISI DELLA PRESENZA.
Ciò che viene chiamato “crisi” è una forma di governo. Creare delle crisi controllabili per rimandare il più possibile la crisi vera in cui tutto potrebbe essere messo in discussione per davvero. Questo governo permanente dei corpi, delle menti, ma soprattutto dei desideri porta con sé tutta la crudeltà e la pesantezza dell’epoca in cui viviamo. Un’epoca in cui alla solidarietà viene preposto il profitto, dove per essere qualcuno ed essere accettati bisogna apparire e riprodurre automatismi di massa. Le droghe fanno parte di questo “governo della crisi” e il capitalismo ci guida come dei bambini dandoci le soluzioni più immediate per nascondere i problemi, perché in mancanza di rapporti veri e solidi non troviamo la forza per affrontarli direttamente e quindi ci anestetizziamo con le soluzioni che il capitalismo ci fornisce anche illegalmente.
Se un tempo si andava allo stadio, oggi si guardano le partite con Mediaset Premium, prima ci si beccava nelle piazze, oggi esiste Whatsapp; ci si innamorava e ci si corteggiava, oggi non c’è tempo per queste cose da “sfigati”; c’erano le feste di quartiere e oggi bisogna andare in discoteca e spendere un sacco di soldi. Per questo, per tutto il resto, per qualsiasi cosa il capitalismo è pronto a trovarci una soluzione. Non possiamo che annoiarci e sentire il peso di questa noia sulle nostre spalle. La noia produce solitudine e tristezza e la depressione è dietro l’angolo. Ma non ti preoccupare, il capitalismo non ti lascerà mai solo.
A volte si tira fuori il vecchio e stantio ritornello delle droghe “porte della percezione” per aprirci a nuove frontiere d’esperienza. I rivoluzionari non dovrebbero dimenticare che è proprio quando la realtà si appiattisce sempre più su uno schermo e le cose sfuggono di mano e perdono di sapore che si sente il bisogno di “allargare” le nostre percezioni. Quando la nostra esperienza del mondo è a zero si sente la necessità di compensarla con qualche suggestione, qualche visione che ripaghi del vuoto infernale dei nostri giorni, che illuda che sotto la crosta grigia si agiti chissà quale mistero. Ma non c’è nessun’altra dimensione nascosta, c’è un presente da ribaltare negli incontri, negli amori e nella gioia che può fiorire dentro le nostre vite e le nostre lotte.
Stiamo vivendo una crisi della presenza, frequentiamo e agiamo in luoghi senza lasciare mai il segno della nostra potenza collettiva. Bisogna tornare ad abitare i vuoti che il sistema capitalista crea, intessere delle relazioni, degli affetti e della solidarietà rendendoli un’arma rivoluzionaria capace di rendere desiderabile il comunismo, la gioia e la lotta più che una sostanza o una carriera da buon borghese. Rendere gli spazi, i quartieri, le scuole, le fabbriche, i posti che attraversiamo e in cui lottiamo dei luoghi desiderabili, pieni di energia e di amicizia.
COMUNISMO E AMICIZIA
I nostri compagni non hanno bisogno di moralisti o di esperti sulla nocività delle sostanze, ma di amici su cui contare, delle spalle su cui piangere, delle braccia che ti possano stringere, dei compagni che stiano al tuo fianco e che ti facciano sentire la potenza di una comunità in lotta dove nessuno sarà mai lasciato solo e insieme si cercherà di strappare quella felicità tanto sfuggente e così desiderabile.
Cominciamo ad affrontare problemi come la droga facendo autocritica sulle mancanze del nostro comunismo e sulla fragilità delle nostre relazioni, poiché è nello sperimentare, nella gioia e nella rabbia che troveremo gli anticorpi contro la droga, contro la solitudine e contro i vizi del capitalismo. In fondo è rivoluzionario ciò che rende una situazione rivoluzionaria, non la sua semplice enunciazione.
Più sarà maturo il nostro comunismo, meno avremo bisogno di fuggire e affronteremo collettivamente il lungo cammino verso la vittoria.
Comunismo o barbarie!
https://www.facebook.com/notes/auto...alisti-e-i-suoi-falsi-critici/481509415343487
Dopo la morte di alcuni ragazzi che avevano fatto uso di sostanze stupefacenti e la chiusura del Cocoricò (famosa discoteca di Riccione funzionale a “sballo e perdizione” frequentata da giovani italiani e turisti) il dibattito sulle droghe è tornato in voga, anche se in realtà nelle nostre collettività non si è mai concluso e non ha smesso di essere un problema di attualità, che tuttavia solitamente tendiamo a non affrontare per evitare di scomodare qualcuno o rompere gli equilibri ipocriti su cui tante volte si reggono le nostre comunità terribili.
Quando si affronta la questione droga, soprattutto tra i compagni, i problemi e i muri che si ergono davanti alla questione e impediscono una discussione e una riflessione attorno ad essa sono l'impostazione morale, puritana e perbenista da una parte e dall'altra l'approccio individualista di chi nega e nasconde il problema.
Non è interessante guardare quanto ognuno di noi faccia o non faccia uso di droghe, ma piuttosto quanto il nostro umore e il nostro stare bene dipendano dall’assunzione o no di sostanze che crediamo ci aiutino a sopportare il peso del presente. Quando ci si tira in mezzo non più per cospirare, per agire, ma per fuggire. In mancanza di una discussione sincera e diretta le comunità diventano luoghi di ipocrisia in cui in nome di una facciata rivoluzionaria si cerca di nascondere un problema che invece dovrebbe essere affrontato, così a volte si finisce per drogarsi di nascosto fuori dagli sguardi dei “compagni inquisitori” e allo stesso tempo si pretende che nei nostri posti nessuno faccia uso delle così dette droghe non leggere.
Non bisogna cadere nel proibizionismo becero e nemmeno nell’ipocrisia libertaria, nella retorica degli spazi individuali. Affrontata la questione nella sua complessità, potremmo immaginare quello che vogliamo trasmettere con le nostre azioni, i contenuti e la forza collettiva che vogliamo far desiderare a chi ci frequenta o a chi non abbiamo ancora avuto la fortuna di conoscere. In questo modo la questione dell’uso di sostanze nei nostri posti può essere posta in termini diversi: ciò che vogliamo condividere con le persone che conosciamo è la vita, la lotta, la gioia, la tristezza e il suo superamento e dentro questa prospettiva ci sono anche le serate alcoliche, le feste in cui a volte si fa uso di sostanze. Ma non è per questo che lottiamo e quando diventa un problema bisogna avere il coraggio di affrontare e di capire i limiti che i nostri corpi e le nostre menti hanno in rapporto all’uso di queste sostanze, siano queste alcooliche, droghe leggere o pesanti.
Quello che ci preme non è tanto parlare del proibizionismo o della libertà individuale, vorremmo analizzare dall’interno, partendo da “noi”, come viene affrontata nella maggior parte dei casi in modo superficiale e morale la questione della droga soprattutto quando questa diventa dipendenza.
Abbiamo letto un articolo che sta girando sui social network, pubblicato dal sito Senza Tregua il 6/02/2013 intitolato: “DROGA E DIPENDENZA: LIBERTÀ INDIVIDUALE O QUESTIONE SOCIALE?”; per quanto l’analisi sia lucida e condivisibile questo testo impone paletti etici che ogni “rivoluzionario” dovrebbe rispettare per essere tale e da cui prendiamo spunto non per criticare l’articolo in sé, ma per porre una riflessione più ampia e contribuire al tavolo della discussione.
OLTRE LA SUPERFICIALITA’, CONTRO LE COMUNITA’ TERRIBILI.
Che la dipendenza dalle droghe non sia una questione rivoluzionaria lo abbiamo capito tutti, così come di certo non è rivoluzionario andare al Cocoricò, bere Coca Cola, andare al concerto della Banda Bassotti o fare un’estate a Frassanito a fare i fricchettoni.
“Il mondo non si cambia dentro di sé, chiudendosi nella ricerca di qualcosa che non esiste, il mondo si cambia con la lotta, con l’azione collettiva che si misura con la realtà concreta, tutto il contrario di quello che droga e alcol forniscono”.
Chi l’ha detto che il mondo non si cambia dentro di noi? Il processo che porta ogni soggettività ad avvicinarsi alla lotta porta con sé uno scontro a 360 gradi con l’esistente: con i genitori che vedono come fallimento la nostra scelta di combattere e lottare contro il capitalismo piuttosto che adattarsi e aggiungersi al gregge, con gli insegnanti, con i padroni, con gli amici che della lotta non ne vogliono sapere, con la fidanzata che ti chiede di scegliere tra lei e i compagni, con l’autorità, di qualsiasi tipo essa sia. Ma nulla è paragonabile alla lotta che si svolge dentro di noi, contro le vecchie aspirazioni, contro le insicurezze, contro le false rassicurazioni, contro le nostre paure e i nostri incubi, contro i nostri fallimenti, nella domanda sulla giustezza delle nostre scelte. E da questa guerra interiore si può uscire più forti di prima o semplicemente non se ne esce.
Abbandoniamo i discorsi circolari, smettiamo di raccontarcela tra di noi e di mostrare i muscoli della “coerenza”, senza affrontare la complessità dell’essere umano. Andiamo incontro a ciò che si cerca di nascondere sempre, ma che in fondo è la causa di ogni nostro fallimento e della riproduzione all’infinito delle nostre caricature: la debolezza del comunismo nelle nostre comunità e nei nostri collettivi politici. Comunismo inteso come forma di vita, come potenza collettiva, come ricchezza di affetti e relazioni.
La questione è capire perché si desidera di più la droga piuttosto che la rivoluzione, cosa spinge i compagni e le compagne a fuggire dalla crudeltà e dalla pesantezza di questo mondo invece che trovare nella lotta gli anticorpi per combatterlo. Ci siamo mai chiesti i motivi per cui i nostri compagni si drogano, quale ferita porti loro a queste scorciatoie di felicità immediata?
GOVERNO DEI CORPI, CRISI DELLA PRESENZA.
Ciò che viene chiamato “crisi” è una forma di governo. Creare delle crisi controllabili per rimandare il più possibile la crisi vera in cui tutto potrebbe essere messo in discussione per davvero. Questo governo permanente dei corpi, delle menti, ma soprattutto dei desideri porta con sé tutta la crudeltà e la pesantezza dell’epoca in cui viviamo. Un’epoca in cui alla solidarietà viene preposto il profitto, dove per essere qualcuno ed essere accettati bisogna apparire e riprodurre automatismi di massa. Le droghe fanno parte di questo “governo della crisi” e il capitalismo ci guida come dei bambini dandoci le soluzioni più immediate per nascondere i problemi, perché in mancanza di rapporti veri e solidi non troviamo la forza per affrontarli direttamente e quindi ci anestetizziamo con le soluzioni che il capitalismo ci fornisce anche illegalmente.
Se un tempo si andava allo stadio, oggi si guardano le partite con Mediaset Premium, prima ci si beccava nelle piazze, oggi esiste Whatsapp; ci si innamorava e ci si corteggiava, oggi non c’è tempo per queste cose da “sfigati”; c’erano le feste di quartiere e oggi bisogna andare in discoteca e spendere un sacco di soldi. Per questo, per tutto il resto, per qualsiasi cosa il capitalismo è pronto a trovarci una soluzione. Non possiamo che annoiarci e sentire il peso di questa noia sulle nostre spalle. La noia produce solitudine e tristezza e la depressione è dietro l’angolo. Ma non ti preoccupare, il capitalismo non ti lascerà mai solo.
A volte si tira fuori il vecchio e stantio ritornello delle droghe “porte della percezione” per aprirci a nuove frontiere d’esperienza. I rivoluzionari non dovrebbero dimenticare che è proprio quando la realtà si appiattisce sempre più su uno schermo e le cose sfuggono di mano e perdono di sapore che si sente il bisogno di “allargare” le nostre percezioni. Quando la nostra esperienza del mondo è a zero si sente la necessità di compensarla con qualche suggestione, qualche visione che ripaghi del vuoto infernale dei nostri giorni, che illuda che sotto la crosta grigia si agiti chissà quale mistero. Ma non c’è nessun’altra dimensione nascosta, c’è un presente da ribaltare negli incontri, negli amori e nella gioia che può fiorire dentro le nostre vite e le nostre lotte.
Stiamo vivendo una crisi della presenza, frequentiamo e agiamo in luoghi senza lasciare mai il segno della nostra potenza collettiva. Bisogna tornare ad abitare i vuoti che il sistema capitalista crea, intessere delle relazioni, degli affetti e della solidarietà rendendoli un’arma rivoluzionaria capace di rendere desiderabile il comunismo, la gioia e la lotta più che una sostanza o una carriera da buon borghese. Rendere gli spazi, i quartieri, le scuole, le fabbriche, i posti che attraversiamo e in cui lottiamo dei luoghi desiderabili, pieni di energia e di amicizia.
COMUNISMO E AMICIZIA
I nostri compagni non hanno bisogno di moralisti o di esperti sulla nocività delle sostanze, ma di amici su cui contare, delle spalle su cui piangere, delle braccia che ti possano stringere, dei compagni che stiano al tuo fianco e che ti facciano sentire la potenza di una comunità in lotta dove nessuno sarà mai lasciato solo e insieme si cercherà di strappare quella felicità tanto sfuggente e così desiderabile.
Cominciamo ad affrontare problemi come la droga facendo autocritica sulle mancanze del nostro comunismo e sulla fragilità delle nostre relazioni, poiché è nello sperimentare, nella gioia e nella rabbia che troveremo gli anticorpi contro la droga, contro la solitudine e contro i vizi del capitalismo. In fondo è rivoluzionario ciò che rende una situazione rivoluzionaria, non la sua semplice enunciazione.
Più sarà maturo il nostro comunismo, meno avremo bisogno di fuggire e affronteremo collettivamente il lungo cammino verso la vittoria.
Comunismo o barbarie!
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