JOLLY
Alpiniste Kundalini
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trascrivo un capitolo da uno dei miei libri preferiti: QUANDO ACCADE L'IMPOSSIBILE di Stanislav Grof
UNA LEZIONE DI PERDONO - la cerimonia del peyote degli indiani Potawatomi
Come psichiatra, quotidianamente alle prese con i problemi emotivi che affliggono la vita dell'uomo, sono diventato profondamente consapevole dei diversi schemi distruttivi e e autodistruttivi che, nel corso della storia, vengono trasmessi come una maledizione da una generazione all'altra. I traumi che, da bambini, nel corso dello sviluppo si sperimentano nella famiglia di origine lasciano emotivamente feriti e incapaci di svolgere poi, in modo adeguato, i ruoli di mariti, mogli, padri e madri: di conseguenza si affliggono ai figli una serie di ferite emotive. Rompere questo circolo vizioso è per la psicologia e la psichiatria moderna una delle sfide piu difficili.
A un livello piu alto, un tale schema di comportamento opera a livello collettivo avvelenando le relazioni tra diverse nazioni e paesi.
La violenza sfrenata e l'avidità, due pericolose macchie della natura umana, hanno generato innumerevoli guerre e sanguinose rivoluzioni creando immense sofferenze. La memoria del dolore e delle ingiustizie inflitte sopravivve nei secoli nella coscienza collettiva delle nazioni e colora i loro attuali atteggiamenti e rapporti reciproci. Danni e offese non risolti e perdonati continuano a fomentare nuove violenze.
Mi piace immaginare un futuro dove l'umanità supererà tutte le divisioni: razziali, sessuali, nazionali, culturali politiche ed economiche per dar vita ad una comunità globale. Tuttavia, sono sufficientemente consapevole della complessità dei problemi per rendermi conto che non è uno scenario plausibile.
[...]
Dopo questa pessima introduzione, vorrei raccontare un episodio della mia vita che mi ha dato una speranza di un futuro migliore per tutti noi, non ostante la situazione generale sia cupa. Si tratta di un esperienza di profonda guarigione e trasformazione che avvenne molti anni fa assieme a un gruppo di persone con cui avevo condiviso uno stato di coscienza non ordinario. Non ostante sia accaduto più di 30 anni fa mi commuovo e mi viene da piangere quando ci penso e ne parlo. Quest'episodio mi ha mostrato la profondità dei problemi che dobbiamo affrontare in un mondo in cui l'odio è stato tramandato di generazione in generazione. Tuttavia mi ha dato anche la speranza e la fiducia nella possibilità di togliere questa maledizione e dissolvere le barriere che ci separano gli uni da gli altri.
[...]
Ad agosto del '72 presi l'aereo da Baltimora a Topek, in Kansas, con quattro membri del gruppo: la nostra esperta di musicoterapia Helen Bonny e sua sorella, il terapeuta psichedelico Bob Leihly e il professore di religione Walter Clarck. Affittammo un'automobile all'aeroporto di Topekae ci inoltrammo nel cuore della prateria dove, in mezzo al nulla, erano stati eretti diversi tapee: qui avrebbe avuto luogo la cerimonia sacra. Il sole stava tramontando e il rito stava per iniziare. Ma prima di partecipare alla cerimonia dovevamo essere accettanti dagli altri partecipanti, tutti nativi americani. Fummo sottoposti ad un difficile processo che rassomigliava ad una drammatizzazione di gruppo.
Con profonda emozione i nativi introdussero il tema della dolorosa storia dell'invasione e della conquista dell'America da parte degli intrusi bianchi, il genocidio degli indiani americani e li stupri delle loro donne, l'espropriazione delle loro terra, la carneficina insensata dei bufali e molte altre atrocità. Dopo un paio di ore drammatiche le emozione si acquietarono e, uno dopo l'altro, gli indiani ci accettarono nella loro cerimonia. Alla fine ce n'era soltanto uno che rimaneva violentemente contrario alla nostra presenza: un uomo alto, scuro e astioso, tetro, risentito. Il suo odio nei confronti dei bianchi era enorme.
Ci volle molto tempo, e parecchi tentativi di persuasione da parte dei suoi compagni, che non volevano rimandare ulteriormente la cerimonia,, prima che finalmente accettasse controvoglia la nostra partecipazione. Alla fine sistemammo tutto e cominciò il rituale sacro. Secondo il costume dei nativi americani, chi tiene il bastone puo cantare una canzone, fare una dichiarazione personale o passarlo a un altro.
L'uomo astioso, così restio ad accettarci, sedeva proprio difronte a me, appoggiato su uno dei pali del tapee. Emanava rabbia e ostilità ed era evidente a tutti che era di malumore. Mentre gli altri partecipanti partecipavano con tutto il cuore alla cerimonia, lui rimaneva distaccato e indifferente. Ogni volta che il bastone e il tamburo avevano fatto il giro e arrivavano a lui, lo passava rabbioso. La mia percezione dell'ambiente era acuita dall'influenza del peyote. Quest'uomo era diventato un punto dolente del mio mondo e mi trovai a guardarlo con crescente sofferenza. L'odio emanava dai suoi occhi, che parevano raggi laser che mi consumavano e che riempivano tutto il tapee. Riuscì a mantenere il suo atteggiamento ricalcinante per tutta la cerimonia.
Arrivo il mattino e poco dopo della comparsa del sole ci stavamo passando il bastone e il tamburo per l'ultima volta. Era l'occasione per tutti di dire poche parole conclusive sulle proprie esperienze e impressioni della notte. Il discorso di Walter Clarck fu eccezionalmente lungo e molto carico di emozione. E espresse il suo profondo apprezzamento per la generosità dei nostri amici, nativi americani, che avevano condiviso con noi la loro bella cerimonia. Walter sottolineò specificatamente il fatto che ci avevano accettati non ostante tutto quello che avevamo fatto loro. A un punto del suo discorso si riferì a me dicendo: "Stan che è lontano dalla sua terra, la sua nativa cecoslovacchia..."
Appena Walter pronuncio la parola Cecoslovacchia, l'uomo che per tutta la cerimonia era rimasto irritato per la nostra presenza si mostrò all'improvviso stranamente turbato. Si alzò, attraversò il tapee, e si buttò a terra davanti a me. Nascose la sua testa tra le mio grembo piangendo e singhiozzando rumorosamente.
L'uomo sembrava disperato e desolato poi si calmò un attimo tornò a sedere e prese il bastone in mano. Dopo un lungo silenzio dovuto a una sua lotta interiore l'uomo ebbe il coraggio di dichiarare che durante la seconda guerra mondiale era stato arruolato dall'aviazione americana e aveva partecipato personalmente a un incursione aerea, assolutamente non necessaria, nella città cecoslovacca di Pilsen, nota per la birra e la fabbrica di automobili Skoda. Non soltanto il suo odio nei miei confronti era ingiustificato ma i nostri ruoli si erano ora capovolti. Lui era l'aggressore e io la vittima. Aveva invaso la mia terra e ucciso il mio popolo. Questo era piu di quanto potesse sopportare. Tornò da me e continuò ad abbracciarmi chiedendomi perdono.
Dopo averlo rassicurato che non avevo nessun sentimento ostile nei suoi confronti, accadde qualcosa di straordinario. Andò dai miei amici di Baltimora, che arano tutti statunitensi, e chiese scusa per il comportamento che aveva avuto prima e durante la cerimonia, li abbracciò e chiese loro perdono. Disse che quell'episodio gli aveva insegnato che non ci sarebbe stata alcuna speranza nel mondo se avessimo continuato a mantenere l'odio per i fatti commessi dai nostri antenati. E ora si era reso conto che aveva sbagliato a dare giudizi generalizzati sui gruppi razziali, nazionali e culturali. Noi dovevamo giudicare le persone in base a quello che sono, e non come membri del gruppo a cui appartengono.
A questo punto quasi tutti noi eravamo scoppiati in lacrime. Sentivamo un senso di profondo legame e appartenenza alla famiglia umana. Mentre il sole saliva lato nel cielo prendemmo parte alla cerimonia del pasto. Mangiammo il cibo che per tutto il tempo era rimasto al centro del tapee ed era stato consacrato al rituale. Poi ci abbracciammo a lungo e ci dirigemmo verso casa.
UNA LEZIONE DI PERDONO - la cerimonia del peyote degli indiani Potawatomi
Come psichiatra, quotidianamente alle prese con i problemi emotivi che affliggono la vita dell'uomo, sono diventato profondamente consapevole dei diversi schemi distruttivi e e autodistruttivi che, nel corso della storia, vengono trasmessi come una maledizione da una generazione all'altra. I traumi che, da bambini, nel corso dello sviluppo si sperimentano nella famiglia di origine lasciano emotivamente feriti e incapaci di svolgere poi, in modo adeguato, i ruoli di mariti, mogli, padri e madri: di conseguenza si affliggono ai figli una serie di ferite emotive. Rompere questo circolo vizioso è per la psicologia e la psichiatria moderna una delle sfide piu difficili.
A un livello piu alto, un tale schema di comportamento opera a livello collettivo avvelenando le relazioni tra diverse nazioni e paesi.
La violenza sfrenata e l'avidità, due pericolose macchie della natura umana, hanno generato innumerevoli guerre e sanguinose rivoluzioni creando immense sofferenze. La memoria del dolore e delle ingiustizie inflitte sopravivve nei secoli nella coscienza collettiva delle nazioni e colora i loro attuali atteggiamenti e rapporti reciproci. Danni e offese non risolti e perdonati continuano a fomentare nuove violenze.
Mi piace immaginare un futuro dove l'umanità supererà tutte le divisioni: razziali, sessuali, nazionali, culturali politiche ed economiche per dar vita ad una comunità globale. Tuttavia, sono sufficientemente consapevole della complessità dei problemi per rendermi conto che non è uno scenario plausibile.
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Dopo questa pessima introduzione, vorrei raccontare un episodio della mia vita che mi ha dato una speranza di un futuro migliore per tutti noi, non ostante la situazione generale sia cupa. Si tratta di un esperienza di profonda guarigione e trasformazione che avvenne molti anni fa assieme a un gruppo di persone con cui avevo condiviso uno stato di coscienza non ordinario. Non ostante sia accaduto più di 30 anni fa mi commuovo e mi viene da piangere quando ci penso e ne parlo. Quest'episodio mi ha mostrato la profondità dei problemi che dobbiamo affrontare in un mondo in cui l'odio è stato tramandato di generazione in generazione. Tuttavia mi ha dato anche la speranza e la fiducia nella possibilità di togliere questa maledizione e dissolvere le barriere che ci separano gli uni da gli altri.
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Ad agosto del '72 presi l'aereo da Baltimora a Topek, in Kansas, con quattro membri del gruppo: la nostra esperta di musicoterapia Helen Bonny e sua sorella, il terapeuta psichedelico Bob Leihly e il professore di religione Walter Clarck. Affittammo un'automobile all'aeroporto di Topekae ci inoltrammo nel cuore della prateria dove, in mezzo al nulla, erano stati eretti diversi tapee: qui avrebbe avuto luogo la cerimonia sacra. Il sole stava tramontando e il rito stava per iniziare. Ma prima di partecipare alla cerimonia dovevamo essere accettanti dagli altri partecipanti, tutti nativi americani. Fummo sottoposti ad un difficile processo che rassomigliava ad una drammatizzazione di gruppo.
Con profonda emozione i nativi introdussero il tema della dolorosa storia dell'invasione e della conquista dell'America da parte degli intrusi bianchi, il genocidio degli indiani americani e li stupri delle loro donne, l'espropriazione delle loro terra, la carneficina insensata dei bufali e molte altre atrocità. Dopo un paio di ore drammatiche le emozione si acquietarono e, uno dopo l'altro, gli indiani ci accettarono nella loro cerimonia. Alla fine ce n'era soltanto uno che rimaneva violentemente contrario alla nostra presenza: un uomo alto, scuro e astioso, tetro, risentito. Il suo odio nei confronti dei bianchi era enorme.
Ci volle molto tempo, e parecchi tentativi di persuasione da parte dei suoi compagni, che non volevano rimandare ulteriormente la cerimonia,, prima che finalmente accettasse controvoglia la nostra partecipazione. Alla fine sistemammo tutto e cominciò il rituale sacro. Secondo il costume dei nativi americani, chi tiene il bastone puo cantare una canzone, fare una dichiarazione personale o passarlo a un altro.
L'uomo astioso, così restio ad accettarci, sedeva proprio difronte a me, appoggiato su uno dei pali del tapee. Emanava rabbia e ostilità ed era evidente a tutti che era di malumore. Mentre gli altri partecipanti partecipavano con tutto il cuore alla cerimonia, lui rimaneva distaccato e indifferente. Ogni volta che il bastone e il tamburo avevano fatto il giro e arrivavano a lui, lo passava rabbioso. La mia percezione dell'ambiente era acuita dall'influenza del peyote. Quest'uomo era diventato un punto dolente del mio mondo e mi trovai a guardarlo con crescente sofferenza. L'odio emanava dai suoi occhi, che parevano raggi laser che mi consumavano e che riempivano tutto il tapee. Riuscì a mantenere il suo atteggiamento ricalcinante per tutta la cerimonia.
Arrivo il mattino e poco dopo della comparsa del sole ci stavamo passando il bastone e il tamburo per l'ultima volta. Era l'occasione per tutti di dire poche parole conclusive sulle proprie esperienze e impressioni della notte. Il discorso di Walter Clarck fu eccezionalmente lungo e molto carico di emozione. E espresse il suo profondo apprezzamento per la generosità dei nostri amici, nativi americani, che avevano condiviso con noi la loro bella cerimonia. Walter sottolineò specificatamente il fatto che ci avevano accettati non ostante tutto quello che avevamo fatto loro. A un punto del suo discorso si riferì a me dicendo: "Stan che è lontano dalla sua terra, la sua nativa cecoslovacchia..."
Appena Walter pronuncio la parola Cecoslovacchia, l'uomo che per tutta la cerimonia era rimasto irritato per la nostra presenza si mostrò all'improvviso stranamente turbato. Si alzò, attraversò il tapee, e si buttò a terra davanti a me. Nascose la sua testa tra le mio grembo piangendo e singhiozzando rumorosamente.
L'uomo sembrava disperato e desolato poi si calmò un attimo tornò a sedere e prese il bastone in mano. Dopo un lungo silenzio dovuto a una sua lotta interiore l'uomo ebbe il coraggio di dichiarare che durante la seconda guerra mondiale era stato arruolato dall'aviazione americana e aveva partecipato personalmente a un incursione aerea, assolutamente non necessaria, nella città cecoslovacca di Pilsen, nota per la birra e la fabbrica di automobili Skoda. Non soltanto il suo odio nei miei confronti era ingiustificato ma i nostri ruoli si erano ora capovolti. Lui era l'aggressore e io la vittima. Aveva invaso la mia terra e ucciso il mio popolo. Questo era piu di quanto potesse sopportare. Tornò da me e continuò ad abbracciarmi chiedendomi perdono.
Dopo averlo rassicurato che non avevo nessun sentimento ostile nei suoi confronti, accadde qualcosa di straordinario. Andò dai miei amici di Baltimora, che arano tutti statunitensi, e chiese scusa per il comportamento che aveva avuto prima e durante la cerimonia, li abbracciò e chiese loro perdono. Disse che quell'episodio gli aveva insegnato che non ci sarebbe stata alcuna speranza nel mondo se avessimo continuato a mantenere l'odio per i fatti commessi dai nostri antenati. E ora si era reso conto che aveva sbagliato a dare giudizi generalizzati sui gruppi razziali, nazionali e culturali. Noi dovevamo giudicare le persone in base a quello che sono, e non come membri del gruppo a cui appartengono.
A questo punto quasi tutti noi eravamo scoppiati in lacrime. Sentivamo un senso di profondo legame e appartenenza alla famiglia umana. Mentre il sole saliva lato nel cielo prendemmo parte alla cerimonia del pasto. Mangiammo il cibo che per tutto il tempo era rimasto al centro del tapee ed era stato consacrato al rituale. Poi ci abbracciammo a lungo e ci dirigemmo verso casa.