rango
Sale drogué·e
- Inscrit
- 2/2/12
- Messages
- 992
Ciao, posto qui una breve storia del Codice di Dresda, che mi ha sempre affascinato. Posto queste informazioni, per chi non le conoscesse, anche per evidenziare le conseguenze di un approccio religioso dogmatico verso nuove realtà, non conosciute (Il Nuovo Mondo).
Infine il Codice di Dresda ci rivela alcuni utilizzi sul cacao.
I Maya elaborarono un metodo di scrittura geroglifica e registrarono la storia, la mitologia e i riti in iscrizioni scolpite e dipinte su lastre di pietra o colonne, architravi, scalinate, o altri monumenti. Venivano inoltre scritti libri di carta ripiegata ottenuta dalle fibre di agave, contenenti informazioni di agricoltura, clima, medicina, caccia e astronomia.
Nel 1549, sette anni dopo la parziale conquista degli indios Maya dello Yucatan, padre Diego de Landa arrivò a Mérida, capitale dei territori. Si sforzò con tutti i mezzi di estirpare le costumanze e le credenze del popolo che lo circondava, per convertirlo al Cattolicesimo.
A tale scopo egli giunse a servirsi di un procedimento che ritenne efficacissimo: un gigantesco auto-da-fè, in cui vennero bruciati tutti i libri indigeni. La storia, la cultura, la tradizione di un popolo vennero in tal modo distrutte. Come riporta Friar Diego de la Landa"Trovammo un gran numero di libri...e dato che contenevano nient'altro che superstizioni e falsità del diavolo li bruciammo, fatto che presero molto gravemente e che provocò loro molto dolore".
Questo gesto inconsulto, irreparabile, fu, nonostante tutto, minimizzato dal suo autore, che non ne colse la gravità.
Nel 1566 padre de Landa redige la Relacion de las Cosas de Yucatan. Egli riprodusse nella sua opera certi glifi del calendario e segni ancora in uso nello Yucatan al tempo del suo ministero. L'opera di distruzione di padre de Landa fu purtroppo eseguita alla perfezione. Oggi restano soltanto tre codici Maya, tutti e tre scoperti in Europa, dove con tutta probabilità erano stati spediti da monaci o soldati al momento della conquista. Si tratta del Codex Dresdensis, del Codex Tro-Cortesianus e del Codex Peresianus.
I codici consistono in lunghe strisce di corteccia di ficus, battute, impregnate di resina, poi ricoperte di un leggero strato di calce spenta sul quale sono dipinti glifi, cifre, immagini di dei e di animali, sempre con gli stessi colori: nero, giallo, verde, azzurro e rosso. Le strisce sono larghe circa venticinque centimetri , ma lunghe parecchi metri; esse venivano scritte prima su una e poi sull'altra faccia ed erano poi ripiegate a fisarmonica.
Il Codex Dresdensis (Codice di Dresda), il più prezioso, misura metri 3,50 di lunghezza e possiede 78 pagine. Appartiene alla biblioteca di Dresda dal 1739. Si tratta soprattutto di un trattato di astronomia, ma contiene anche numerosi oroscopi e alcune indicazioni sui riti. Proprio grazie a questo codice, E. Fostermann è riuscito a decifrare la struttura interna del calendario Maya e del conto lungo.
Il codice sembra essere stato composto da almeno cinque scribi differenti (alcuni sostengono otto), e la sua datazione è incerta: c'è chi afferma sia stato scritto intorno al XIII° secolo, chi invece sostiene che la produzione di questo manoscritto risalga ad almeno 500 anni prima. Il manoscritto, oltre ad un insieme di rituali religiosi, mostra anche la straordinaria abilità di osservazione delle stelle dei Maya.
La raffinatezza del codice di Dresda lascia presumere che fosse di estrema importanza per la cultura e lareligiosità Maya: i colori sono stati ottenuti da inchiostri vegetali, i disegni ed i glifi sono stati realizzati con pennelli estremamente sottili ed una cura incredibile dei dettagli.
Si ritiene che il codice di Dresda sia il libro più antico delle Americhe, ed uno dei soli quattro libri di geroglifici Maya sopravvissuti fino ad oggi, due di questi custoditi a Madrid ed a Parigi.
La copia custodita attualmente a Dresda sarebbe una tra quelle portate in europa da Hernan Cortes nel 1519. Durante il bombardamento di Dresda della Seconda Guerra Mondiale, il manoscritto è stato danneggiato dall'acqua utilizzata per estinguere gli incendi nella Libreria.
Questa storia inizia con un albero. Un albero del sottobosco, alto e sottile che cresce di preferenza all'ombra di alberi giganti e dalle possenti radici. I semi di quest'albero hanno acquisito nel corso dei secoli una grande importanza sociale, religiosa, economica e, non da ultimo, gastronomica, su entrambe le sponde dell'oceano Atlantico.
La storia ha inizio in Messico, migliaia di anni prima della conquista spagnola.
Siamo nel 1500 avanti Cristo e nelle pianure costiere del Messico prospera una civiltà paleoamericana, quella degli Olmechi. Di loro non è rimasto molto: gigantesche sculture raffiguranti teste e (in piccola parte) la lingua ancora parlata in queste terre.
La parola cacao è un prestito linguistico proveniente da questa antica lingua. Kakawa. E infatti furono gli Olmechi a coltivare ed utilizzare per primi questa pianta. Per ritrovare notizie sul cacao è necessario esaminare una civiltà successiva e più nota alla storia e all'antropologia, la civiltà dei Maya (dal 250 avanti Cristo al 900 dopo Cristo). Dei Maya avremmo potuto avere moltissime informazioni. Di loro dicevano, infatti, che fossero “il popolo del libro”: Purtroppo tutti gli scritti venivano registrati su carta di origine vegetale, di una corteccia estremamente deteriorabile, tanto che sono sopravvissuti solo pochi esemplari. Dove non arrivarono i danni del tempo ci pensarono i falò dell'Inquisizione che contribuirono ulteriormente a depauperare il patrimonio libresco dei Maya.
Ad oggi non ci restano che pochissimi testi (li contiamo sulle dita di una mano); in uno di essi, classificato come codice di Dresda si possono vedere alcune incisioni (si tratta di vere e proprie opere d'arte) che mostrano alcune divinità nell'atto di tenere in mano delle bacche; la didascalia all'immagine ci racconta che ogni figura tiene in mano “u kakaw” (“il suo cacao”
. In altre incisioni la stessa bacca viene indicata come “kakaw uhanal” (“il cibo degli dei”
. Simili rappresentazioni sono state scoperte anche nel vasellame. In particolare si trattava di segni grafici che per secoli furono creduti senza significato (qualcosa di simile accadde anche per i geroglifici egiziani) e che poi in realtà si sono rivelati essere sequenze grafiche (“glifi”
le cui combinazioni dei segni danno via via messaggi differenti. In queste sequenze esiste un glifo (segno dell'alfabeto, simile nel meccanismo agli ideogrammi) per il cacao, presente in molti reperti.
Link per vedere le scansione delle varie pagine:
FAMSI - Akademische Druck - u. Verlagsanstalt - Graz - Codex Dresdensis
Infine il Codice di Dresda ci rivela alcuni utilizzi sul cacao.
I Maya elaborarono un metodo di scrittura geroglifica e registrarono la storia, la mitologia e i riti in iscrizioni scolpite e dipinte su lastre di pietra o colonne, architravi, scalinate, o altri monumenti. Venivano inoltre scritti libri di carta ripiegata ottenuta dalle fibre di agave, contenenti informazioni di agricoltura, clima, medicina, caccia e astronomia.
Nel 1549, sette anni dopo la parziale conquista degli indios Maya dello Yucatan, padre Diego de Landa arrivò a Mérida, capitale dei territori. Si sforzò con tutti i mezzi di estirpare le costumanze e le credenze del popolo che lo circondava, per convertirlo al Cattolicesimo.
A tale scopo egli giunse a servirsi di un procedimento che ritenne efficacissimo: un gigantesco auto-da-fè, in cui vennero bruciati tutti i libri indigeni. La storia, la cultura, la tradizione di un popolo vennero in tal modo distrutte. Come riporta Friar Diego de la Landa"Trovammo un gran numero di libri...e dato che contenevano nient'altro che superstizioni e falsità del diavolo li bruciammo, fatto che presero molto gravemente e che provocò loro molto dolore".
Questo gesto inconsulto, irreparabile, fu, nonostante tutto, minimizzato dal suo autore, che non ne colse la gravità.
Nel 1566 padre de Landa redige la Relacion de las Cosas de Yucatan. Egli riprodusse nella sua opera certi glifi del calendario e segni ancora in uso nello Yucatan al tempo del suo ministero. L'opera di distruzione di padre de Landa fu purtroppo eseguita alla perfezione. Oggi restano soltanto tre codici Maya, tutti e tre scoperti in Europa, dove con tutta probabilità erano stati spediti da monaci o soldati al momento della conquista. Si tratta del Codex Dresdensis, del Codex Tro-Cortesianus e del Codex Peresianus.
I codici consistono in lunghe strisce di corteccia di ficus, battute, impregnate di resina, poi ricoperte di un leggero strato di calce spenta sul quale sono dipinti glifi, cifre, immagini di dei e di animali, sempre con gli stessi colori: nero, giallo, verde, azzurro e rosso. Le strisce sono larghe circa venticinque centimetri , ma lunghe parecchi metri; esse venivano scritte prima su una e poi sull'altra faccia ed erano poi ripiegate a fisarmonica.
Il Codex Dresdensis (Codice di Dresda), il più prezioso, misura metri 3,50 di lunghezza e possiede 78 pagine. Appartiene alla biblioteca di Dresda dal 1739. Si tratta soprattutto di un trattato di astronomia, ma contiene anche numerosi oroscopi e alcune indicazioni sui riti. Proprio grazie a questo codice, E. Fostermann è riuscito a decifrare la struttura interna del calendario Maya e del conto lungo.
Il codice sembra essere stato composto da almeno cinque scribi differenti (alcuni sostengono otto), e la sua datazione è incerta: c'è chi afferma sia stato scritto intorno al XIII° secolo, chi invece sostiene che la produzione di questo manoscritto risalga ad almeno 500 anni prima. Il manoscritto, oltre ad un insieme di rituali religiosi, mostra anche la straordinaria abilità di osservazione delle stelle dei Maya.
La raffinatezza del codice di Dresda lascia presumere che fosse di estrema importanza per la cultura e lareligiosità Maya: i colori sono stati ottenuti da inchiostri vegetali, i disegni ed i glifi sono stati realizzati con pennelli estremamente sottili ed una cura incredibile dei dettagli.
Si ritiene che il codice di Dresda sia il libro più antico delle Americhe, ed uno dei soli quattro libri di geroglifici Maya sopravvissuti fino ad oggi, due di questi custoditi a Madrid ed a Parigi.
La copia custodita attualmente a Dresda sarebbe una tra quelle portate in europa da Hernan Cortes nel 1519. Durante il bombardamento di Dresda della Seconda Guerra Mondiale, il manoscritto è stato danneggiato dall'acqua utilizzata per estinguere gli incendi nella Libreria.
Questa storia inizia con un albero. Un albero del sottobosco, alto e sottile che cresce di preferenza all'ombra di alberi giganti e dalle possenti radici. I semi di quest'albero hanno acquisito nel corso dei secoli una grande importanza sociale, religiosa, economica e, non da ultimo, gastronomica, su entrambe le sponde dell'oceano Atlantico.
La storia ha inizio in Messico, migliaia di anni prima della conquista spagnola.
Siamo nel 1500 avanti Cristo e nelle pianure costiere del Messico prospera una civiltà paleoamericana, quella degli Olmechi. Di loro non è rimasto molto: gigantesche sculture raffiguranti teste e (in piccola parte) la lingua ancora parlata in queste terre.
La parola cacao è un prestito linguistico proveniente da questa antica lingua. Kakawa. E infatti furono gli Olmechi a coltivare ed utilizzare per primi questa pianta. Per ritrovare notizie sul cacao è necessario esaminare una civiltà successiva e più nota alla storia e all'antropologia, la civiltà dei Maya (dal 250 avanti Cristo al 900 dopo Cristo). Dei Maya avremmo potuto avere moltissime informazioni. Di loro dicevano, infatti, che fossero “il popolo del libro”: Purtroppo tutti gli scritti venivano registrati su carta di origine vegetale, di una corteccia estremamente deteriorabile, tanto che sono sopravvissuti solo pochi esemplari. Dove non arrivarono i danni del tempo ci pensarono i falò dell'Inquisizione che contribuirono ulteriormente a depauperare il patrimonio libresco dei Maya.
Ad oggi non ci restano che pochissimi testi (li contiamo sulle dita di una mano); in uno di essi, classificato come codice di Dresda si possono vedere alcune incisioni (si tratta di vere e proprie opere d'arte) che mostrano alcune divinità nell'atto di tenere in mano delle bacche; la didascalia all'immagine ci racconta che ogni figura tiene in mano “u kakaw” (“il suo cacao”



Link per vedere le scansione delle varie pagine:
FAMSI - Akademische Druck - u. Verlagsanstalt - Graz - Codex Dresdensis